"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

12 nov 2017

ARMORED SAINT - QUEL DOLORE INUTILE



Parlare degli Armored Saint è doloroso. Il mio primo ricordo loro è quello di un disco mai avuto, “March of the Saint”. La copertina ritraeva i guerrieri di Re Artù, e mi ricordava sia i soldatini di piombo dipinti a mano, preziosi ma da andare a scegliere uno per uno al negozio, sia il cartone animato “La spada di King Arthur”, tra i miei preferiti ma trasmesso raramente. Ero riuscito a trovare invece “Raising fear” per puro caso negli scaffali assortiti di un negozio di provincia. Ma il primo no, e lo conobbi solo registrato su nastro.

Perché c'era questa fame di Armored Saint? Qui inizia la parte dolorosa da raccontare.

Detti in due parole, per chi non li conosce, gli Armored Saint sono un gruppo di power metal, dalle tinte epiche e talora più dark,e talora più blues, secondo la classica screziatura di un gruppo di metal classico. Metal muscolare, con un cantante dalla venatura roca, che stringe la nota tra le corde vocali, e la spreme come un tubetto di dentifricio schiacciato nel mezzo.

Il primo lavoro degli Armored che conobbi fu “Symbol of Salvation”, l'ho preso nuovo di zecca al volo dopo averne letto l'entusiastica recensione su uno dei giornali dell'epoca, credo Metal Shock.

Oltre a questo, il disco era il ritorno degli Armored dopo un intervallo dovuto anche alla morte prematura per leucemia del chitarrista Prichard. Già allora gli Armored era presentati come un gruppo sfortunato. Sapete, di quelli che avrebbero dovuto sfondare, che avevano tutte le carte in regola, che non avevano nulla da invidiare ai grandi nomi... In effetti erano uno dei nomi dell'ondata del power metal statunitense, avevano il loro personaggio fisso in copertina, il “santo guerriero”, un chitarrista solista talentuoso... ma la sorte li aveva prima illusi e poi colpiti.
Una di quelle storie che finisce poi in un anonimato fatto di ricordi, ambizioni insoddisfatte e rimpianti. Già immaginavo i membri di questo gruppo meritevole ma sfortunato ridotti all'indigenza e alla depressione, che piangevano l'ingratitudine del pubblico in un lurido pub di periferia. E allora no, dovevo impedire tutto ciò: così comprati al volo l'ultima uscita e setacciai i negozi per scovare gli altri lavori. Mi sentivo in debito. Quel sottile senso di colpa verso un gruppo valido ma poco fortunato, che poi ti rende anche meno lucido nei giudizi. Immaginavo quasi di essere il loro unico fan pagante, che non avessero venduto quasi una mazza. E invece non era così, perché ad esempio "March of the Saint" toccò le 125000 copie di vinili in USA, cifra stratosferica se si pensa che si gridava al fenomeno quando anni dopo King Diamond vendette qualche decina di migliaia di copie di "Them" (inspiegabilmente tra l'altro, uno dei suoi dischi più difficili). Quella recensione mi aveva segnato per sempre nella considerazione degli Armored: la credenziale che aveva contato di più era la loro immeritata sfortuna, per cui mi sentivo in colpa, come chi va a pregare perché Cristo è morto per lui.

Questo sentimento di colpa si tramutò poi in qualcosa di più perverso, il culto dei perdenti. Quello degli Armored gruppo sfortunato e condannato alla serie B era divenuto ormai un mio feticcio mentale, a cui non avrei saputo rinunciare. Quasi quasi a quel punto meditavo di non comprargli più i dischi per evitare che avessero troppo successo. Visto che prego per te, caro Gesù, il tuo posto è la croce.

Al di là di queste contorsioni mentali personali, questo è stato grossomodo il destino degli Armored. Prima degli ottimi esordienti, poi degli eterni secondi, quindi dei poveri sfortunati colpiti da una tragedia. Infine, un gruppo che è bene che stia in secondo piano, che arriverà tutt'al più ad un premio “alla carriera”.
Anche l'episodio della militanza di John Bush negli Anthrax, mentre gli Armored erano sotto sale, è da leggersi in questi termini perversi. Prima tutti a dire, sotto sotto: finalmente se lo merita, dopo anni di gavetta negli Armored, finalmente un ruolo di serie A. E poi tutti (gli stessi) a dire, dopo che per la seconda volta era stato accantonato in favore di Belladonna “va beh, sei degli Armored Saint e fai anche qualche anno in serie A cogli Anthrax, bacia per terra e fai poche storie”.
Quale spiegazione dette alla fine Scott Ian per spiegare come mai, se “cercavano stabilità”, abbiano fatto rientrare Belladonna per la seconda volta, lasciando a piedi Bush per la seconda volta? Supercazzole varie e poi la stilettata classista: il Big Four, il tour con tutti i grandi del metal anni 80, e gli Anthrax che dovevano fare, andarci con il cantante degli Armored Saint?
Sembra come quella scena di “Regalo di Natale” di Pupi Avati in cui un impiegato remissivo protesta a bassa voce che a lui il pacco-dono dell'Azienda per Natale non è stato consegnato come a tutti. Il direttore dice “Strano...Ma Lei non era quello che anche l'anno scorso non lo aveva ricevuto?” “Si” “Ecco, ha visto !?”.

Alla fine in questa schizofrenia tra il meritarsi di più e l'aver oggettivamente avuto sfortuna, gli Armored stessi sono entrati in una sorta di delirio. Devono reclamare, rivendicare, sottilmente rinfacciare che non hanno avuto abbastanza, ma a loro non frega niente. La volpe e l'uva, insomma, ma con un fondo di verità, che fa ancora più male. E' chiaro che quel Vincere a mani basse che è il titolo del loro ultimo cd, sta tutto il rancore misto a orgoglio, e tutta la tristezza che inevitabilmente ne sgorga. Gli Armored hanno vinto a mani basse con la classe, con la determinazione e la costanza di un gruppo che non si arrende e rimane fedele a se stesso? Sì, è verissimo: chi suona come se stesso vince a mani basse su chi cambia binario per opportunismo, ma è pur vero che chi non raggiunge il successo grosso ha poche occasioni di esser messo alla prova veramente, e quindi fa di necessità virtù. Ecco, questo poteva essere un titolo sincero e vincente: Di necessità virtù.

Alla fine siamo nelle retrovie, e in questo sta la bellezza della nostra musica. E' sempre stato così. Era così quando cercavo i dischi tra gli avanzi degli scaffali dei negozi. Era così quando, ripartendo dal basso, spararono un disco riuscito come "Symbol of Salvation". Ed è così anche quando non hanno vinto il concorso per la band metal più famosa, senza peraltro aver mai concorso, perché il power-metal non porta sulla cresta dell'onda. Non hanno mai “vinto a mani basse”, ma semmai hanno “non vinto” a testa alta. Non sono morti come Cristo per salvare i peccati del metal, e non sono affatto stati più sfortunati di tanti altri gruppi, anche più famosi.

La causa vera del loro dolore è il sentimento esistenziale del metal, e non la sua distorsione morale. Malinconia e rabbia, potenza e nostalgia. Non recriminazione. Pertanto, se volete render giustizia a questi alfieri del metal più classico, pensate al santo guerriero, e non al rocker inacidito.

Hanno avuto sfortune, ma una fortuna anche, che Bush sia tornato a fare buon metal con gli Armored, lasciando a Belladonna l'ingrato compito di rianimare cadaveri.

A cura del Dottore