"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

1 ago 2017

GLI "ANTENATI" DEL CONTE - Parte II



Torniamo alla visione di “ForeBears”. 

Avevamo lasciato il nostro Conte a bersi un bel bicchiere d’acqua frizzante. Sempre seguito da primi piani esasperati, saltiamo sulla jeep color militare di Varg e lo accompagnamo a…fare benzina (!!!) e subito dopo lo seguiamo nel lungo e pallosissimo procedimento di affilamento di una lama nel giardino di casa.

Quello che colpisce già dopo pochi minuti di visione sono gli accostamenti delle scene. Tipo: il Conte entra nel capanno degli attrezzi e subito dopo abbiamo una voce in sottofondo che recita dei versi sempre relativi alle divinità egiziane con in primo piano i rami di un albero di fichi
O ancora: lunghissima sequenza in cui il Conte giace supino ad occhi aperti a meditare in una stanza vuota e scalcinata mentre un povero uccellino cerca di uscire dalla stanza ma va a sbattere contro una rete che chiude un piccolo varco in alto (simbolismo che rimanda al periodo di detenzione?). Affianco a Varg cosa c’è? Un fucile d’assalto bello grosso, con tanto di mirino di precisione e portamunizioni. 
Giustapposizioni quantomeno azzardate

Finalmente al minuto 20’ entra in scena Marie Cachet, la moglie francese del Conte è intenta a spaccare una pietra con un mazzuolo, seduta su pelli di animali su un prato battuto dal vento. La scena, ancora di una noia mortale, è alternata alla soggettiva della macchina del Conte che attraversa una solitaria galleria a senso unico: altra lunghissima sequenza di una stucchevolezza devastante.

Finalmente la galleria finisce e il conte si ritrova in una splendida vallata boscosa, contorniata da vette montane parzialmente innevate, mentre un coniglio zampetta veloce ai bordi della strada. Il viaggio prosegue (in strada non si vede anima viva…) e nel frattempo la Cachet ha finalmente finito di spezzare il suo pietrone e ha disposto ordinatamente i vari frammenti del masso su una pelliccia bianca per terra. Nel frattempo il paesaggio che attraversa la jeep è lunare, selvaggio, praticamente deserto. Fino ad arrivare ad un lago e ad una casa ormai in rovina dove il Conte si fa un giretto prima di risalire sulla jeep (cui prodest?).

La noia continua a farla da padrona (per fortuna in sottofondo ci sono le composizione ambient composte dal Conte che rendono il film leggerissimamente più sopportabile). Mentre Vikernes ridiscende i tornanti di montagna, la Cachet cosa combina? Crea lance e frecce mentre sulla parte bassa dello schermo continuano a passare le consuete frasi egizie, a volte accompagnate da una bassa voce fuori campo (quella dello stesso Conte?).

Ma attenzione, qualcosa si muove: il Conte è arrivato a una cittadina lacustre, e lo vediamo camminare sul marciapiede con un paio di braghe orrende, troppo corte, rigorosamente color militare (almeno facciamo abbinamento col colore della jeep). Il malcapitato spettatore si dirà: ora succede qualcosa, un colpo di scena, il Conte che parla con qualcuno, che litiga con un immigrato di colore, con un ragazzino pronto per andare in discoteca, qualsiasi cosa…ti prego Conte, fai succedere qualcosa!!!

E invece no…si cambia scenario e tema portante: vediamo apparire sullo schermo bisonti e cervi che pascolano beatamente. A queste immagini si alterna di nuovo la Cachet che con arco e frecce va a caccia coi suoi tre figli, la più piccola delle quali cammina a stento. Attraversano campi di verzura fino ad arrivare sulle sponde di un lago dove i bimbi, praticamente nudi e coperti solo da raffazzonate pellicce, entrano in acqua (presumiamo gelida, visto che siamo in un contesto montano!) per gettare massi e giocare con l’acqua. Ma il tempo del gioco è breve: qua si fanno le cose sul serio e bisogna imparare a cacciare ed ecco perchè Marie si mette a fare l’arciere su di un prato coi suoi figli (per fortuna ci viene risparmiato il tragitto che fanno le frecce…).
Ci sarebbe insomma già abbastanza per chiamare i servizi sociali

La telecamera stacca e i quattro membri della famiglia Vikernes sono adesso intorno al fuoco a mangiare: non la carne degli animali cacciati (come si potrebbe per un attimo pensare visto che le scene di caccia sono alternate a primi piani di musi di diverse bestie) ma…fragole disidratate!

Di fianco alle attività venatorie non poteva che essercene un’altra tipicamente preistorica: l’accensione del fuoco con le pietre focaie. Dopo vari tentativi andati a vuoto, la Cachet riesce nell’intendo di realizzare un piccolo bracere mentre i figli, con sassi piuttosto voluminosi, si divertono a schiacciare noci. Il tutto alternato ancora (BASTAAAA!) alle succitate immagini di diversi bovini che dormono o che brucano l’erba. Vi risparmio le lunghe parti di cottura sul fuoco di pezzi di carne, martoriata poi con delle pietre per ottenerne dei pezzi abbastanza piccoli da poter essere mangiati.

Si ritorna su Varg che avevamo lasciato nel paesello che sorge in riva al fiume. Non si sa cosa abbia fatto; lo vediamo che rimonta sulla jeep mimetica e percorre anonime strade. Adesso, pensiamo ingenuamente, seguiremo finalmente le gesta del nostro Eroe…

Sbagliato. Orsi bianchi e orsi bruni, teste di aquile si alternano a primi piani di grossi pezzi di miele con le solite frasi mistiche che appaiono in calce. Non ne possiamo più…ma perché ci stiamo autoinfliggendo questo supplizio??!!

Ma abbiamo fiducia in Varg e, dopo 70’ di questo nulla, l’attesa viene premiata dalla la parte più “pregnante” del tutto: uno dei figli, il più grande, entra in una grotta. Si tratta di una di quelle grotte carsiche con diverse stalattiti e stalagmiti che assumono forme diverse e sono oggetto di meta turistica, come, in Italia, quelle sensazionali di Toirano o la Grotta del Vento nelle Alpi Apuane. Scopriremo dai titoli di coda che trattasi delle grotte di Presque, situate nella Regione dei midi-Pirenei in Francia.
La telecamera indugia per quasi un quarto d’ora sulle diverse composizioni naturali, alternando, e questo presumo sia il fulcro del film, immagini di dipinti rupestri dell’età della pietra, che scopriamo ex-post essere quelle di Albarracìn, in Spagna. 
Quindi: il giovane Vikernes entra in una grotta francese e i registi gli accostano immagini di una grotta spagnola...ottimo.

Il piccolo Vikernes, nel frattempo a Presque, disseppellisce ossa, un teschio e una mandibola. Il bambino comincia a cospargere questo cranio di una terra rossa, accende il fuoco (altri particolari sui cui si indugia all’infinito) per poi la telecamera staccare sul primo piano del viso del bimbo che nel frattempo ha pensato bene di farsi una bella maschera di piume d’uccello e appiccicarsele sul volto (per fortuna ci vengono risparmiati i particolari tecnici relativi al “come”).

E’ questa la scena madre del docu-film dei coniugi Vikernes. Gli ultimi minuti saranno solo una panoramica aerea, presa in prestito da qualche documentario, su maestosi paesaggi montani. Un uomo, piccolissimo perché ripreso dall’alto, cammina solitario nella neve…titoli di coda.

Difficile fare una valutazione finale di “ForeBears”. Quello che superficialmente si può dire di questo poutpurri di clips di diversi documentari è che se l’intento era quello di rivitalizzare gli ancestrali culti dell’orso per dimostrare come tutte le culture e filosofie umane siano nate dagli uomini preistorici che hanno abitato per primi l’attuale continente europeo, l’obiettivo non è minimamente stato centrato. E per di più con una qualità filmica di serie Z.

Noi di MM, che nonostante tutto vogliamo un gran bene al Conte, lo vogliamo pensare come un’espressione visiva di quello che Varg dichiara alla fine del documentario “Until the light takes us” e su cui ci siamo già soffermati in passato. Ancora in prigione Vikernes dichiarò, parlando della mercificazione della vita quotidiana e della difficoltà di trovare un senso a quello che ci circonda: 

Tutto è privo di significato. Ovviamente la verità è lì, fuori. Si può incontrare. Ma in un mare di bugie è impossibile trovarla. A meno che uno non sappia come, quando e dove cercare. Ovviamente non è possibile semplicemente svegliarsi una mattina e dire: “Ok, oggi mi metto a cercare la Verità”. Una persona deve provare e fallire, fino ad eliminare tutte le menzogne, e per lo meno alla fine avrà qualcosa di vicino alla Verità. La Verità si nasconde sotto una zolla d’erba, o sotto una roccia, in un sentiero nascosto nel bosco. E quando si riesce a trovare queste piste, inciampi, sbatti la faccia nei rami. Commetti errori prima di trovarla…

Ecco, dopo la visione di “ForeBears” preferisco ricordare Varg con queste parole che con il girato della sua telecamera…

A cura di Morningrise