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19 lug 2017

VENTI ANNI DI "OK COMPUTER": L'EREDITA' DEI RADIOHEAD E IL METAL



Quante volte vi sarà capitato di parlare con qualcuno più anziano di voi che si è vantato, solo per ragioni anagrafiche, di aver assistito di persona all'uscita di questa o a quella opera seminale. Quel classico borioso che acquistò "Powerslave" o "Master of Puppets" quando furono pubblicati, magari rincarando la dose con un immancabile "quelli sì che erano tempi...".

Eppure quest'anno, io e quelli della mia generazione, oltre a piangere Chris Cornell (un eroe dei nostri tempi), possiamo celebrare il ventennale di "OK Computer" dei Radiohead, potendo dire: "Noi c'eravamo!".

Oggi "OK Computer" è considerato all'unanimità una pietra miliare del rock. Fiumi di parole sono state spese al riguardo ed in particolare in questi ultimi giorni per via della pubblicazione di "KONOTOK", cofanetto celebrativo che offre il remix dell'album originale + un bonus disc di brani inediti registrati nelle medesime sessioni, ma poi scartati.

Onde non ripetere cose già dette, ci limiteremo a dire che l'operazione non è un prodotto utile solo al fan completista: da un lato infatti il lavoro di remixaggio mette in bella mostra la ricercatezza degli arrangiamenti ed una serie di dettagli che un po' scomparivano nella versione originale, arricchendola di nuove sfumature; dall'altro la bellezza dei brani "sacrificati" rende onore al rigore di artisti che hanno saputo "lasciare in panchina" brani di altissimo valore solo per esigenze di coerenza, di aderenza all'impianto concettuale dell'opera. Aspetto non affatto secondario, visto che "OK Computer" non è solo una sequenza mozzafiato di brani ispirati (certi dei quali divenuti leggendari), ma un capolavoro di suoni e di umori che si legano ed intrecciano fra loro costituendo un insieme unico ed inscindibile.

Per quanto riguarda il lascito che questa opera avrà sulla musica "popolare" del terzo millennio, possiamo serenamente affermare che si tratterà di una eredità di proporzioni immani, riportando l'attenzione ad un approccio di ricerca che era proprio del miglior rock progressivo degli anni settanta, in chiave però intimista ed aggiornata ai "tempi moderni", con quelle velleità sociologiche che varranno alla band lo status di portavoce di un'epoca intera.

Già nel corso dei primi anni novanta il grunge aveva riportato in auge sonorità settantiane, il brivido dell'elettricità, l'istinto, la rabbia del punk primordiale e il disagio giovanile, opponendosi alle forme gelide e patinate degli anni ottanta. Il brit-pop, di seguito, aveva se non altro consolidato questa necessità di ritorno ad una forma più fisica del rock, seppur in un'ottica più commerciale, e non è un caso che i primi Radiohead (già additati come la nuova next big thing) fossero ricondotti a questo fenomeno.

Con "OK Computer" tutto cambiò nuovamente: il passaggio concettuale fu che la critica, la denuncia, l'avversione al mondo sociale non avveniva più tramite un approccio di rivolta/ribellione (da sempre nel DNA del rock), ma tramite un processo di immedesimazione in cui l'arte andava a rappresentare la voce (o meglio, il lamento) di un individuo-monade, atomizzato, sottomesso al sistema e vittima delle sue contraddizioni. Una concezione che si sgancia totalmente da un'idea di collettività, e se vi vengono in mente i Talking Head, non siete affatto fuori strada, considerato che il monicker "Radiohead" trae ispirazione proprio dal titolo di una canzone delle Teste Parlanti. Dimenticate però l’ironia e il fare scanzonato di David Byrne, perché stilisticamente, per i Radiohead, il tutto si traduceva nel recupero di un intimismo che era tipico dei cantautori più isolazionisti con intorno costruzioni sonore tendenti al minimalismo, ambientazioni desolanti e che non disdegnavano certa psichedelia pinkfloydiana (ovviamente aggiornata a nuovi canoni di alienazione) e persino un uso misurato di elettronica. La band, settandosi sullo standard della ballata introspettiva, mostrava ancora il desiderio di comunicare alle moltitudini (e infatti l'album si rivelò un gran successo commerciale), ma "OK Computer" indubbiamente avrebbe costituito il primo passo deciso verso un approccio sperimentale che porterà i Nostri agli osticismi di capolavori quali "Kid A" ed "Amnesiac", già ampiamente fuori i confini del rock. E  così, a venti anni di distanza da “OK Computer”, i Radiohead rimangono probabilmente l'ultima band che abbia saputo, su vasta scala, dire qualcosa di nuovo ed apportare, da sola, significativi cambiamenti nel panorama rock tutto. E di riflesso anche nel metal.

Il metal, come abbiamo avuto modo di vedere più volte, ha nel corso dei primi anni novanta attraversato una fase di crisi per via dell'esplosione del grunge (che stravolse i canoni classici del genere), ma ha mostrato una grande capacità di reazione, sfoderando le unghie ed abbracciando sonorità alternative, approdando così al groove-metal, allo stoner, all'industrial-metal ed al crossover in generale (e poi successivamente al nu-metal, al post-hardcore ed al post-metal).

Nel 1997, quando uscì "OK Computer", il metal godeva tutto sommato di buona salute, ma soffriva di una inaridente conflittualità interna che vedeva innovatori da un lato e difensori dell'ortodossia dall'altra: una dialettica che turbò la libera evoluzione artistica, conducendo ad una polarizzazione artificiale che imponeva sperimentazioni azzardate da un lato e fiero immobilismo dall'altro. In ogni caso non c'era percezione di decadenza, perché i grandi nomi rimanevano in auge e di nuovi se ne stavano formando, dando l'impressione di trovarsi semplicemente innanzi ad un fisiologico cambio generazionale e non alle porte di una crisi che avrebbe condotto al totale sovvertimento di tutte le regole conosciute, artistiche e non. Complice di questa crisi, infatti, sarà lo stravolgimento drastico delle dinamiche dell'industria discografica, che presto avrebbe visto la fine non solo del vecchio vinile, ma anche del CD ed infine dei negozi di dischi. E oggi possiamo dirlo, del formato album (e sì, le playlist di Spotify ci riportano, paradossalmente, ad un modo di fruire musica che è simile a quello dei 45 giri e dei jukebox degli anni cinquanta e sessanta).

Venti anni fa, tuttavia, il metal sembrava ancora un organismo sano, capace di rigenerarsi ed eventualmente adattarsi alle circostanze/avversità esterne. Soprattutto: si poteva vivere ancora di solo metal. Chi voleva guardar fuori era ancora attratto dai Pink Floyd, dai Depeche Mode e dalle forme oscure del rock. E certo "OK Computer", con le sue arie spettrali, con il suo disagio non filtrato, fu attraente per qualche raffinata anima "metallica" che certo non poteva rimanere indifferente alla bellezza di brani come "Paranoid Android" e "Karma Police".

Io stesso ne fui attratto per gli umori bigi, persino eccessivi per una band che passava in heavy rotation su MTV. Nell'oscuro incipit di chitarra e in certi passaggi successivi di "Airbag" (l'opener di "OK Computer") percepivo un vago sentore black metal. E i cori apocalittici di "Exit Music (for a Film)" mi parevano degni dei My Dying Bride di "Turn Loose the Swans”. Ma se Yorke e soci certamente non si sono ispirati al black metal delle band scandinave o al gothic-doom delle brughiere d'Albione (entrambi fenomeni germogliati nel corso degli anni precedenti), le sonorità promosse da “OK Computer” erano sicuramente quanto di più fosco il circuito mainstream potesse all'epoca offrire.

Era evidente tuttavia che ciò non poteva bastare al metallaro medio, ancorato alle sue esigenze. Un fatto curioso che vorrei ricordare fu una recensione di "OK Computer" su una rivista metal (non mi ricordo bene se Flash o Metal Shock) che, dopo aver liquidato l'album come appena sufficiente, si chiudeva più o meno: non so francamente quanto la gente possa essere interessata alle lagne esistenziali di Thom Yorke. Uno di quegli sfondoni epocali che potrebbe rivaleggiare con il giudizio “lungimirante” di quel discografico che, a dei giovanissimi Rolling Stones, disse "potete anche funzionare, ma dovete cambiare cantante", riferendosi a Mick Jagger.

Al di là della pochezza e la miopia di chi scrisse quella recensione (perché chiunque dotato di gusto, apertura mentale e un minimo di cultura musicale poteva capire che stava accadendo "qualcosa di grosso"), da queste parole si evince la spocchia e la sicurezza del mondo metallico nel considerare gli stimoli fuori dal metal. I Radiohead, nonostante il loro fascino, erano ancora troppo "mosci" per il metallaro del 1997 e in effetti l'uscita di "OK Computer" non comportò particolari sconvolgimenti nel mondo nel metal.

Nel 1998 usciva "Judgement" degli Anathema. L'album risentiva molto dell'influsso di "OK Computer", ma nessuno diede importanza alla cosa: primo, perché la band già da tempo aveva dimostrato di volersi smarcare dagli stilemi del metal e in molti l’avevano abbandonata; secondo, perché gli inglesi erano stati seguaci dei Pink Floyd e i fan superstiti non trovarono affatto strano che i fratelli Cavanagh guardassero con interesse ai Radiohead, che da molti sono stati considerati gli eredi dei Pink Floyd stessi. Seguirono "A Fine Day to Exit" e "A Natural Disaster", album che trasferirono il mood malinconico del gothic metal che fu su un piano differente: un rock introspettivo che non disdegnava né l'elettronica, né le distorsioni vocali, né momenti più rarefatti e tendenti al minimalismo. Tuttavia gli Anathema erano e rimangono un fenomeno isolato, perché il metal per molto tempo continuerà ad ignorare la rivoluzione radioheadiana.

Affinché i Radiohead penetrassero in modo più consistente nell'inespugnabile Regno del Metallo ci vorrà l'azione congiunta di altre due entità mediatrici capaci di gettare un ponte fra Radiohead e collettività metal.

La prima entità è rappresentata dai Porcupine Tree di sir Steven Wilson. In tempi non sospetti, quando i Porcospini erano una band di nicchia e non ci azzeccavano ancora niente con il metal, Wilson, senza mai dichiararlo apertamente, subì in modo evidente l'influenza di “OK Computer”. E non a caso, nel 1999, con "Stupid Dream" si allontanava da una scrittura che vedeva nella sontuosa suite psichedelica di matrice pinkfloydiana il modulo principale, per spostarsi su un piano più intimo. In questo nuovo corso, la magniloquenza della musica cedeva il passo a brani brevi e dallo sviluppo lineare, che, pur non rinunciando ad una certa attitudine progressiva, preferivano indugiare sull'interiorità di chi scriveva i pezzi: un insieme di elementi che sicuramente germogliava facilitato dal background "culturale" introdotto dalla rivoluzione di "OK Computer". Nel frattempo, di pari passo con una scrittura che prediligeva fragilità e malinconia, il crooning etereo di Wilson si era fatto nella sostanza "lamento yorkiano" (ascoltare "Don't Hate Me" per farsi un'idea).

Siamo ancora lontani dal metal, ma è anche noto come presto Wilson, con il rinsaldarsi dell'amicizia con Mikael Akerfeldt degli Opeth, avrebbe prima accettato e poi annesso in modo crescente stilemi metal nella propria visione artistica (vedasi "In Absentia", 2002). Con il crescere dell'importanza della figura di Wilson come musicista e come produttore, nonché come spirito guida del movimento neo-progressive che animerà gli anni dieci, egli finirà per sedurre ed influenzare il metal con la sua ricetta eclettica a base di tradizione e modernismi, di rock ed elettronica, il tutto baciato da un approccio esistenziale che, da un certo punto in poi, fra atmosfere algide e fughe nell'interiorità, si è elevato a visione del mondo. Proprio come avevano suggerito i Radiohead molti anni prima.

Cosa passerà di tutto questo nel tritacarne del metallo? Ovviamente il fronte più impattato sarà quello del progressive-metal: fra partiture rocciose e funambolismi, si farà spazio un'attitudine più oscura e minimale, venata talvolta di elettronica, caratterizzata da una maggiore attenzione all'atmosfera (spesso plumbea ed alienante) e talvolta condita da voci fievoli e lamentevoli (un esempio di tutto questo possono essere i Riverside, ma anche, in misura minore, gli Hacken). E' come se il prog divenisse ad un tratto adulto e, cullato dalle visioni fantastiche di un sogno durato decenni, si risvegliasse in una squallida stanza infestata dai fantasmi di una società e di un mondo ostili.

Effetti analoghi li ha portati una seconda entità, i Muse, nati come discepoli (se non addirittura come cloni) dei Radiohead, proprio sull'onda del successo di "OK Computer". Bellamy e soci, tuttavia, presto si sarebbero allontanati dalla fonte della loro ispirazione, aiutati dalla deriva "ermetica" dei loro maestri, facendosi portatori di una proposta massimalista che lì avrebbe avvicinati per paradosso al rock pomposo e barocco dei Queen. Questa scelta stilistica non solo procurerà alla band un successo commerciale strepitoso, ma attirerà l'attenzione di certe frange del metallo, ancora una volta quelle progressive (Dream Theater in testa); ma del resto abbiamo già detto come il cosiddetto neo-progressive ha caratterizzato e sta caratterizzando il metal degli ultimi dieci anni. Anche tramite questo canale certi stilemi dei Radiohead (in particolare un'attitudine vocale svenevole e melodie struggenti che esprimono una iperbolica espressione dell'interiorità) entreranno nel metal.

Ma al di là di questi esempi (difficile definire con precisione le concatenazioni di causa-effetto nell'intricato panorama delle tendenze musicali contemporanee), forse è più corretto dire che, semplicemente, nel corso degli ultimi anni il metal ha subito di riflesso le pesanti ripercussioni che la visione artistica dei Radiohead ha esercitato sul rock in generale. Atmosfere deprimenti (non gotiche, mi raccomando), ambientazioni minimali, una ricerca più concettuale, un intimismo più marcato, più che gli specifici tratti stilistici (sebbene l'uso del vocoder fatto da certe band è decisamente radiohediano): tutto questo ha sicuramente supportato l'ascesa dei generi più sperimentali nel metal come il depressive black metal o la drone-music.

O, ancora più semplicemente, grazie ai Radiohead il mondo si è approssimato agli umori che sono sempre stati cari al metal, ancora prima dell’avvento dei Radiohead stessi. Sia come sia: buon compleanno "OK Computer"!