"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

21 apr 2017

PERCHE' MI FA INCAZZARE L'"AMONG THE LIVING TOUR" DEGLI ANTHRAX




Perché con tutto il "Male" che c'è nel mondo (Trump che bombarda la Siria, la corea del Nord che minaccia l’utilizzo della bomba atomica, attentati sanguinari in ogni parte del globo ecc.), bisogna spendere energie proprio contro gli Anthrax e il loro "Among the Living" Tour?

Una band, gli Anthrax, il cui nome è scolpito nelle sacre tavole del metal alla voce thrash-metal (sezione "Padri fondatori); un nome, il loro, che non è mai stato infangato da album veramente di merda e che ultimamente è persino tornato alla ribalta grazie al rientro in formazione del cantante storico Joey Belladonna. E "Among the Living", che ci piaccia o meno, è una pietra miliare del metal: perché dunque indignarsi?


Partiamo dal contesto. Viviamo in una fase storica consacrata alla celebrazione del passato: questo lo si capisce dal fatto che capita sempre più spesso di imbattersi in recensioni commemorative di album usciti dieci, venti, trenta anni fa. In parallelo si sono sviluppati, in modo sempre più massivo, i fenomeni delle reunion e dei tour celebrativi chiamati a riportare sul palco i grandi capolavori del metal: belle occasioni, indubbiamente, per vedere dal vivo riproposti nella loro interezza album seminali pubblicati molti, troppi anni fa.

In realtà è sempre esistita l'idea del tour celebrativo ed è fisiologico che come pratica si intensifichi mano a mano che il metal invecchia e ha ventennali e trentennali da festeggiare. C'è chi questa pratica la porta avanti genuinamente. Un esempio sono i Dream Theater che hanno iniziato a fare tour celebrativi molto tempo fa e, tutto sommato, in onestà: ogni occasione è sempre sembrata buona per Petrucci & co. per celebrare eventi di ogni tipo (l’uscita di “Master of Puppets”, il primo dente da latte messo da Portnoy, la prima sega di Myung...), ma alla fine i Nostri hanno ogni volta espresso un grande amore per ciascun pezzo della loro discografia, non trascurando anche quegli episodi non graditi più di tanto da pubblico e critica. Probabilmente quello del tour celebrativo è per i Dream Theater un metodo per selezionare materiale ed arginare la voglia di strafare di Petrucci. Ce lo vedo il manager e gli altri componenti della band a cercare di convincerlo, supplicandolo: "John, cerca di ragionare, per questo tour del 2017 concentriamoci solo su "Images and Words", che sono passati venticinque anni tondi tondi, non possiamo suonare ancora una volta tutto quel polpettone di "The Astonishing", poi tre ore di classici in ordine sparso ed infine "A Change of Seasons" come bis...". Ma salvo eccezioni di questo tipo, l’idea del tour celebrativo si è rivelata, il più delle volte, non altro che un modo per attirare l'attenzione su band che non combinano molto da decenni.

Non sarebbe esattamente il caso degli Anthrax che, rispetto ad altre vecchie cariatidi del thrash (mi vengono in mente i redivivi Exodus e Death Angel), sono sempre rimasti sul mercato e nell'ultimo periodo hanno persino tirato fuori dal cilindro un paio di album ("Worship Music" e "For All Kings") molto apprezzati da pubblico e critica, dopo anni di tentennamenti e flop commerciali con John Bush dietro al microfono (fase che, diciamolo, è durata una ventina di anni, mica due giorni...).

Ma allora perché ci indignano tanto gli Anthrax? Forse per l'"Effetto Capezzone"... Molto probabilmente non vi ricorderete nemmeno chi era costui: era un politico che si era formato nel Partito Radicale e che per anni ha sbraitato contro Berlusconi, in modo anche più feroce di altri detrattori del (ehm) "Cavaliere". Poi un giorno, guardando distrattamente un programma in TV, me lo vedo difendere a spada tratta, come se niente fosse, il Berlusca stesso e le sue politiche: cosa era successo? Il buon Capezzone aveva visto bene di cambiare casacca e rimpinguare le fila di Forza Italia (o PDL, non ricordo), riproponendo (come unico tratto di coerenza) gli stessi identici toni da invasato fondamentalista. La foto di Belladonna che sorride ed alza le braccia al cielo, sfoggiando la disinvoltura di chi negli ultimi venti anni sembra non aver fatto altro, mi ha generato la stessa identica sensazione. Una sensazione non di tradimento, ma di stridore, di estraniamento, di "black out temporale”. Ad uno come me che ha smesso di seguire gli Anthrax ai tempi di "Sound of White Noise" (correva l’anno 1993…) vien da chiedersi: Joey, ma dove cazzo sei stato tutto questo tempo? Cosa cazzo hai fatto? Un po' come verrebbe da chiedere a Capezzone: ma che cazzo stai dicendo?

In verità, indagando, ci si rende conto che Belladonna è il meno colpevole di tutti: era lui che lasciò la band non disposto a cambiare e ad assecondare le istanze modernizzanti e radio-friendly del resto della band. Quindi Belladonna è, nel male o nel bene, un puro. Non ho mai sopportato la sua voce, ma rimane un onesto.

E gli Anthrax? Vogliamo fare un processo agli Anthrax che, capendo prima di molti altri il profilarsi della fine dell'era dorata del thrash, tentarono nuove strade? Prima sperimentando con il rap (di fatto anticipando certe cose del nu-metal), poi flirtando con il grunge ed infine indurendo di nuovo il sound senza però perdere le tinte alternative? Sebbene ci sia stato da parte di Scott Ian e soci uno sforzo costante orientato ad agganciare un pubblico sempre più ampio, niente di quello che hanno fatto è comparabile con la merda fumante sfornata da Metallica e Megadeth nei medesimi anni: no, non ce la sentiamo di fare il processo agli Anthrax, considerato lo sbandamento generale che ha investito il movimento thrash negli anni novanta e che non ha risparmiato nemmeno i più grandi.

Ed allora chi è il figlio di puttana? Il figlio di puttana è forse Scott Ian, che ha trattato di merda Belladonna, lo stesso Bush e chiunque si sia alternato dietro al microfono della band e non sia soggiaciuto al suo volere. Una conduzione, la sua, che al tempo stesso non ha garantito una solida reputazione alla band, commettendo il Nostro errori strategici su errori strategici, ma soprattutto non mostrandosi abbastanza ispirato da mantenere il nome della band all'altezza della sua fama passata.

Ma quello che più di ogni altra cosa indigna è appunto la faccia di bronzo di chi cambia idea con una naturalezza che cela e disconosce l'evidenza del cambiamento: quel "comportarsi come se niente fosse", cambiare nuovamente casacca e far finta che sia sempre stato così, che niente sia mai successo nel frattempo, che gli Anthrax, con i medesimi sorrisi, abbiano sempre scritto e suonato brani come "Caught in a Mosh" e "I am the Law". E così, caro Ian - verrebbe da chiedersi - ad un certo punto la voce a sirena di Belladonna non è stata più un problema? Tutto appianato fra voi due? E tutte quelle insanabili divergenze artistiche che fine hanno fatto? E come mai, di colpo, ti è tornata la voglia di quel vecchio thrash che per quasi due decenni hai deciso di mettere in soffitta?

Se non volessimo vedere la cosa per forza con malizia o malafede, c'è da ammettere che vi è almeno del qualunquismo in questa condotta: il qualunquismo di chi, in mancanza di meglio, si immerge nuovamente in un passato che non è stato sviluppato, che non è stato coltivato, ma che semmai è stato accantonato, dismesso come un abito vecchio e prontamente rispolverato per convenienza o, peggio ancora, per povertà di idee.

Dovessi disporre artisti e band metal lungo un ipotetico spettro di rispettabilità, porrei da un lato gente come Udo, un uomo (che dico, un eroe!) che del metal, in modo anche forse esagerato, ha fatto una fede e che, con una coerenza che rasenta il fanatismo, continua imperterrito a portare sul palco, bettola per bettola, il suo inossidabile repertorio di sempre (del resto non ha mai fatto né concepito qualcosa di diverso, e non è detto che sia necessariamente un male). Al lato opposto inserirei invece band come gli Anathema, musicisti in continua evoluzione e che in tournée ci portano al massimo i pezzi degli ultimi due o tre album, perché capaci di riproporre dal vivo solo ciò in cui credono veramente, anche a costo di sacrificare un glorioso passato in cui però non si riconoscono più. Gli Anthrax, ahimè, non mi pare possano appartenere a questa vasta e variegata categoria di artisti metal che, nella ferrea coerenza come nell'evoluzione costante, meritano la nostra stima e il nostro rispetto.

Ma non è mia intenzione fare processi: quello che più mi urta del tour dedicato ad "Among the Living" (che alla fine non costituisce niente di particolarmente scandaloso, visto che Belladonna agisce con coerenza e la band deve pur campare in qualche maniera) è ciò che rappresenta: non altro che del triste anacronismo. Anacronismo perché "Among the Living", artisticamente e culturalmente, appartiene ad un'altra epoca, un'epoca morta e sepolta: quella dello speed thrash classico e delle copertine-fumetto. Hanno degli innegabili meriti gli Anthrax (l'invenzione del mosh, lo sviluppo del thrash in un'ottica groove), ma le novità da essi introdotte sono state fin dall'inizio, ed anche nei momenti migliori, neutralizzate da elementi stilisticamente zavorranti e retrivi, come per esempio la voce acuta e melodica di Belladonna, ancorata a quella tradizione di metal classico da cui il thrash si stava emancipando. In questo annullarsi di forze, gli Anthrax di "Among the Living" sono quelli più "indietro", quelli meno seminali dei grandi del thrash, perché "Among the Living" non è un "Reign in Blood" né un "Master of Puppets". E quel thrash lì, newyorkese e suonato con le scarpe della Nike, il cappellino con la visiera e il sorriso stampato sulla faccia, non ha gettato quei semi che invece hanno piantato Slayer, Metallica, o anche Sodom, Kreator, Destruction e "compagnia borchiata".

"Among the Living" è, in definitiva e con il senno di poi, un album appassito in fretta ed invecchiato male. Da un punto di vista sentimentale, esso rimane indubbiamente un pezzo di cuore per molti di noi (per me no, lo ripeto), ma purtroppo la sua celebrazione non ha niente di vitale per il metal, almeno nella fase storica che sta vivendo oggi. Non solo perché "Among the Living" non è un lavoro fresco, uno scrigno pieno di utili indicazioni per il futuro, un'opera, in definitiva, incompresa, da rivalutare e con un potenziale ancora da spendere (come lo sono ancora oggi, per esempio, i vecchi lavori di Voivod e Coroner, sempre per rimanere in tema di thrash); non solo per questo, ma anche perché una serata con gli Anthrax che ripropongono i loro classici di trenta anni fa (fra l'altro senza neppure il fondamentale Charlie Benante, a casa per problemi di salute!) rappresenta in pieno quell'attitudine nefasta, espressa da parte di band e pubblico, che fa tanto male oggi al metal, ossia quella tendenza a guardare costantemente indietro, come se il metal stesso fosse un qualcosa da ammirare oramai solo in un museo, al di là del vetro opaco di una teca polverosa.