"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

12 giu 2016

OZZY, IL CAVALIERE INESISTENTE - PARTE I: IL GURU


Ozzy è un anti-comunicatore. Per riuscire a stare insieme agli altri deve far cose stupide e gratuite, tipo mordere pipistrelli. Metà della sua vena lirica consiste nel raccontarci come non abbia sostanzialmente un cazzo da dire, il che peraltro è un bene rispetto al modello del cantante predicatore o al cantante carismatico, a cui scappa in continuazione di lanciare messaggi.
Il paradosso è che è divenuto un guru, un anti-eroe, uno che dovrebbe avere scritto chissà quali manifesti programmatici o testimoniato chissà quale ideologia militante. 

Provate a cercare voi stessi, non c'è niente di questo nella produzione di Ozzy o nella sua vita.
La sua vita è talmente normale che ci hanno fatto su una sit-com, non il contrario come conviene far credere agli sprovveduti (che sia talmente strambo che ha reso trasgressiva anche una sit-com).

Se vogliamo rimanere nel mondo dell'orrorifico, Ozzy somiglia alla parodia di un mostro lovecraftiano, cieco e sordo, che rotea nel vuoto tra le dimensioni e si esprime con latrati e vibrazioni viscerali. La sua natura è quella di un artificiere delle verità, uno che non vede il punto di partenza di tanti problemi di cui il mondo si occupa, perché vive di una persistente emozione malinconica.
Fa brillare senza farli esplodere miti, dei ed eroi della civiltà occidentale. 

Ozzy, presunto sacerdote di chissà quale culto satanico, sempre sporco dello zolfo dei Black Sabbath, esordisce come solista con un disco, “Blizzard of Ozz”, che è il contrario di quel che sembra. Torna alla ribalta dopo aver pianto per l'estromissione dai Sabbath, un'emozione, quella dell'abbandono, del rifiuto, che è per lui pesantissima. Il disco parte in quarta con “I don't know”, una dichiarazione su come lui non abbia risposte da dare a nessuno su nessun tema fondamentale. Smobilitatore dell'intera storia della filosofia, Ozzy scantona le domande cruciali dell'esistenza con un “checcazzonesoio”, rinunciatario e polemico. 
Dopo l'agnosticismo, il secondo aspetto della sua prospettiva esistenziale: l'egocentrismo malinconico. Al centro c'è la sua sofferenza, non si sa neanche prodotta da chi e per che motivo. In "Crazy Train" la vita è descritta come un grottesco trenino impazzito in cui la gente salta su per deragliare e schiantarsi: “Le ferite mentali non accennano a guarire, la vita è un'amara vergogna, sto andando fuori dalle rotaie sul treno della follia”.

Il suicidio non è certo una soluzione, perché, se si può sfuggire alle grinfie della morte con il suicidio, certo invece non si può sfuggire a chi governa l'eternità. L'ironia di "Suicide Solution" è questa, si può solo accelerare la morte, non facendo un metro rispetto all'eternità.
In "Blizzard of Ozz" c'è invece un testo programmatico dello scetticismo osbourniano: "Mr. Crowley". Con buona pace di chi ci vedeva un inno alla filosofia del “fai ciò che vuoi”, Ozzy semplicemente pare dire a Crowley “Senti, ci mancavi te a confondermi le idee, e a illudermi che tu volessi dire davvero qualcosa”, ma glielo dice con vera angoscia esistenziale. Lui che si era trincerato dietro “I don't know” è tormentato dalla speranza che alla fine una risposta, una gnosi, ci sia davvero, ma non può pensare, seriamente, che sia segreta e magica. 

Quindi Ozzy, fin dall'inizio, utilizza l'immagine occulta e orrorifica, ma in maniera talmente grottesca che è difficile pensare possa seriamente inneggiare al male, alla magia e al mistero come testimoniano le espressioni ebeti di "Diary of a Madman", il trucco terribile di "Bark at the Moon" e l'espressione stralunata di "Blizzard of Ozz". Insomma il demolitore e il ridicolizzatore di ogni montatura magica che  racconta al contempo quanto è misteriosa la vita con la sua assenza di principi, di costanti, di strutture immutabili. Tranne, qui è la genialità della filosofia di Ozzy, l'immutabilità individuale, che da maledizione (quando gli altri ti vedono diverso e ti escludono) diventa dono (quanto ti accorgi che è un segno di unicità).

Alla fine Ozzy finisce sul versante opposto: il metal lo prende sul serio e non lo molla, più la butta su toni da “mica vorrai prendermi sul serio”, più passava alle cronache come il cantante maledetto, quello che adorava il diavolo, che celebrava la follia, la trasgressione e l'autodistruzione. Ozzy ha dissacrato l'occulto, il malefico, lo ha restituito alla dimensione favolistica, del gioco, ma soprattutto il Madman è il prototipo del cantante “folle”. Questo sì.
C'è però follia e follia. Quella di Ozzy c'è? E qual è?

Continua...

A cura del Dottore