"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

15 gen 2016

CHUCK&STANLEY, A MOMENT OF CLARITY - PARTE II



Ed eccoci alla seconda e ultima parte della nostra fantasiosa elucubrazione metallica.

Ci eravamo lasciati al termine della prima parte con la domanda se i due artisti presi in esame, Chuck Schuldiner e Stanley Kubrick, sul tema comune del controllo negato, avessero dato segnali e/o messaggi circa la possibilità di contrastare questo tipo di condizione connaturata alla vita dell'uomo.

A cura di Morningrise

Partirei proprio da Kubrick: la moralità laica che l’ha sempre guidato nella sua Opera (così come il feroce e caustico giudizio sulla Politica, le Istituzioni e in generale sul potere nelle sue varie espressioni sociali), pur essendo fondamentale nella sua poetica, non è la chiave che qua ci serve per rispondere al nostro quesito.

Meglio forse affidarci alle ultime parole messe in bocca in “Full Metal Jacket” al soldato Joker/Matthew Modine. Joker (con appuntato sull'uniforme la sua spilla col simbolo della Pace!), al termine della pellicola, ha appena ammazzato a sangue freddo, con un colpo di grazia, una giovane ragazza vietnamita, che a sua volta, essendo un cecchino, aveva ucciso poco prima un soldato americano, morto tra le braccia dei suoi compagni. 
Joker, dopo aver premuto il grilletto, si rende tragicamente conto che è diventato infine esattamente quello per cui era stato addestrato così duramente (e che è descritto in maniera indimenticabile per tutta la prima parte del film): una macchina da guerra, un dispensatore di morte (il che a noi metallari non può che riportare subito alla mente il testo di quell’immane canzone che è “Disposable Heroes” dei Metallica: You will die, when I say, you must die, back to the front! You coward. You servant. You blindman!).
I marines, concluso lo scontro a fuoco, marciano nella notte tra le macerie fumanti della città di Huè, espressione plastica del prodotto finale della Guerra voluta dall’Uomo, sorta di “inferno sulla terra”. Intonando come una liberazione la “Marcia di Topolino” (Topolin, Topolin, viva Topolin!, dopo che per tutto l’addestramento erano stati costretti a intonare canti militari inneggianti alla morte da dispensare ai nemici) Jocker infine, fuori schermo, ragiona così:

I miei pensieri vanno di nuovo ai capezzoli eretti, alle eiaculazioni notturne, ai sogni bagnati di Mary Jane Ficarotta, alle fantasie dell’immensa scopata al ritorno a casa. Sono proprio contento di essere vivo, tutto d’un pezzo e prossimo al congedo. Certo, vivo in un mondo di merda, questo sì. Ma sono vivo e non ho più paura.

La risposta di Kubrick che stavamo cercando, a mio modesto avviso, sta proprio qua, in questo discorso finale di Joker: ciò che maggiormente ci consente di avere il controllo sui singoli momenti della nostra vita, facendocene comprendere fino in fondo il senso, è l'essere vivi, consapevoli di quanto sia grande e bello esistere. E’ assaporare in maniera consapevole l’attimo. Senza paura, che è poi il sentimento interiore che meno ci consente di sentire la pienezza della vita.

E lo strumento principale (il migliore?) per raggiungere tale grande traguardo è il sesso, cioè l’atto umano che, probabilmente più di tutti, ci fa sentire più vivi e più presenti. Fino ad arrivare all'estasi dell'orgasmo, la petite mort come lo chiamano i francesi. Presenza a se stessi&estasi: il sesso riesce a realizzare questo ossimoro. Questo delizioso paradosso.

Una tesi confermata, oltre che dalle parole del nostro Joker, anche dall’ultimo dialogo dell'ultima pellicola realizzata dal cineasta americano, “Eyes Wide Shut”. A parlare sono Tom Cruise/William Harford e Nicole Kidman/Alice Harford, nel film marito e moglie:

AH: Sono sicura che la realtà di una sola notte, senza contare quella di un’intera vita, corrisponde alla verità.
WH: E nessun sogno è mai soltanto sogno.
AH: L’importante è che ora siamo svegli e spero tanto che lo resteremo a lungo
WH: Per sempre.
AH: No, non usiamo quella parola. No, mi spaventa, Bill. Ma io ti voglio molto bene. E sai...c’è una cosa molto importante che dobbiamo fare il prima possibile. 
WH: Cosa? 
AH: Scopare.

Già: l’ultima parola dell’ultimo film di Kubrick è stata “Fuck”. La scopata, atto da “fare al più presto”, è l’azione che può riportare i due ad avere il contatto con la realtà, per riavvicinarsi e poter tornare ad avere un’esistenza serena, dopo le paurose vicissitudini (reali e di sogno) che avevano attraversato durante tutta la durata del film.
In definitiva l’atto sessuale sembra una delle poche azioni, consapevoli e cercate, capace di consentire all’uomo di cogliere appieno il senso delle cose (la verità?). Insomma di riportarlo in linea con il vivere veramente, ma senza confidare troppo sul domani.

Per carità: sono conclusioni che non sono soluzioni. E’ pragmatismo materialista.
E non può essere diversamente visto che Kubrick non ha mai distolto il suo interesse dal “tempo sporco della Storia” (M. Morandini). Che non è altro poi che il Male prodotto dall’agire umano in essa. Studiandola e prendendo atto di quanto Male sia intrisa, come si può effettivamente arrivare ad una "speranza" seppur solo "consolatoria"?

E il nostro beneamato Chuck? Cosa possiamo evincere dai suoi due ultimi capolavori?

Beh, l’analisi approfondita dei testi delle sue canzoni l’ha già fatta mirabilmente il nostro Dottore e non voglio ripetermi. Del resto sono uno scarsissimo esegeta degli stessi.

Ma, chiamatemi pure visionario, un punto di contatto con quanto su esposto in merito a Kubrick io lo ritrovo anche nei testi dei Death e dei Control Denied.
In primis nella già citata dal Doc "Flesh and the Power It Holds": Ammira la Carne e il Potere che detiene / la passione è un veleno cucito con un agrodolce godimento (mamma mia...da brividi...).
E in particolare nella monumentale “A Moment of Clarity” song che chiude "The Sound Of Perseverance", dove leggiamo:

Open your eyes wide to see a moment of clarity (toh? di nuovo gli ampi occhi a simboleggiare la possibilità di vedere oltre il velo delle cose!) / Life is like a mistery with many clues but with few answers / to tell us what it is that we can do to look / for messages that keep us from the truth.

Difficile aggiungere altro. Si capisce tantissimo del Chuck-pensiero in questi pochi, splendidi, terribili versi.

Se la conseguenza di che cos’è per Chuck la vita (un mistero) è, come detto, la mancanza del controllo, la sintesi di tutta la ricerca schulderiana probabilmente è espressa nell’ennesima canzone-capolavoro del chitarrista newyorkese, e cioè “Expect The Unexpected”:

Prepare for what you cannot see / Expect the unexpected / and you will save yourself a state of shock!

E più avanti:

It doesn’t matter who you are / in this sense we are all the same / To taste tranquillity would be ecstasy / I’m holding on with all my might / to this ride we call life / Strapped down to clarity / Surprised no more.

Resistere con tutte le proprie forze, rimanere legati alla vita. Questo è il senso. Senza attendersi nulla di ciò che speriamo/vogliamo, perché generalmente, ciò che accade è ciò che NON ci aspettiamo.
Con questa consapevolezza, collegati a questa chiarezza, a questa lucidità (il sostantivo “clarity” ricorre guardacaso in entrambe le canzoni), non rimarremo scottati.

I versi di Chuck sono sicuramente più poetici (e meno ironici, seppur egualmente amari) delle chiose dei personaggi dei film di Kubrick precedentemente citati (per la verità non che ci volesse molto). Ma rimandano anche qui ad una soluzione che è molto pragmatica e scarsamente consolatoria. Nonché di difficile attuazione nel quotidiano vivere (Mr. Lemmy probabilmente due dritte a proposito ce le potrebbe dare...).

Soffermandomi sulle opere di Schuldiner e Kubrick, scrivendo questo post su di loro, mi sono venuti alla mente i celebri versi, tratti dalla composizione "Oh me! Oh Vita!", (e tutto sommato accostabili ai temi da noi affrontati), di quello che è stato probabilmente uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, Walt Whitman, altro illustre newyorkese, seppur vissuto in un altro secolo rispetto ai nostri due protagonisti:

[…] La domanda ahimè che così triste mi persegue – Che v’è di buono in tutto questo, o Vita, ahimè?
Risposta: Che tu sei qui – che esistono la vita e l’individuo. Che il potente spettacolo continua, e che tu puoi contribuirvi con un tuo verso.

Ancora quindi un sentito “grazie” a Chuck e Stanley.
Statene pur certi: a questo grande, meraviglioso e atroce spettacolo che chiamiamo Vita, i vostri versi hanno contribuito a renderlo per sempre più bello, pieno e dotato di senso.

Let the metal flow