"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

30 set 2015

KATATONIA: LA RIVINCITA DEI NERD




I MIGLIORI DIECI ALBUM NON-METAL FATTI DA BAND/ARTISTI METAL

5° CLASSIFICATO: “DISCOURAGED ONES”

Oscurati a più riprese dall’ascesa trionfale dei cugini Opeth, i Katatonia vantano in realtà una carriera che non è stata certo inferiore, per qualità e coraggio, a quella della band capitanata da Mikael Akerfeldt.

Schivati per un soffio dalla nostra trattazione sugli album più rappresentativi del “Nuovo Metal”, vogliamo oggi tributare i Katatonia facendo loro inaugurare nientemeno che la top five della classifica dei migliori album non-metal fatti da band metal.


Riavvolgiamo dunque il nastro e ritorniamo per un attimo all’anno 1993. I Katatonia esordivano con l’acerbo “Dance of December Souls”, album che mostrava una band ancora inesperta e poco coesa. Le chitarre di Anders Nystrom (in arte Blackheim) guardavano indubbiamente ai riff malinconici dei Paradise Lost; Jonas Renkse (all'epoca Lord Seth) sfoggiava, dal canto suo, uno screaming raggelante che permetteva di accostare il tutto al black metal, sebbene la batteria (da egli stesso dilettantescamente suonata) procedesse con cadenza doom. Se da un lato il prodotto poteva essere considerato qualcosa di originale e per certi aspetti pioneristico all'interno della prima ondata di band doom-death-metal, solo successivamente quest'opera sarebbe divenuta oggetto di rivalutazione: e ciò sarebbe accaduto in virtù del successo riscosso, tre anni dopo (nel 1996), dal capolavoro “Brave Murder Day”.

I due susperstiti Nystrom (chitarrista ed autore delle musiche) e Renkse (voce, testi e batteria), presto raggiunti dal fondamentale Fredrick Norrman (all’indispensabile seconda chitarra) e sempre sotto l’ala protettrice del produttore Dan Swano, compiranno con questo lavoro il vero salto di qualità. Il loro sound, da claudicante ed incerto, divenne in un sol colpo fresco, compatto, asciutto, equilibrato. In una parola: maturo. Sublimi intrecci di chitarra, ripetuti fino alla sfinimento (un approccio che potremmo definire burzumiano), disegnavano inediti paesaggi di incomparabile decadenza. Il drumming elementare e fatalistico di Renske, in perenne 4/4, era perfetto nello scandire quegli scenari di desolazione di cui i Katatonia sarebbero divenuti maestri indiscussi. A completare il quadro troviamo infine il disperato growl dell’amico Mikael Akerfeldt, inconfondibile voce degli Opeth (altri “protetti” di Swano), qui presente solamente in veste di session-vocalist.

Non passeranno nemmeno due anni (è il 1998) che uscirà “Discouraged Ones”, l’album che più di ogni altro costituirà un punto di non ritorno per la carriera dei Katatonia. Le avvisaglie, del resto, c’erano già state nello stesso “Brave Murder Day", che fra i suoi solchi custodiva quel gioiello acustico che rispondeva al nome di “Day”: in quella dimessa ed eterea ballata, che costituiva un episodio a sé stante all’interno dell’album, Renske sottraeva per un attimo il microfono ad Akerfeldt, per sfoggiare una sorprendente voce pulita che mai ci saremmo aspettati dallo sgraziato screamer di “Dance of December Souls”.

Fu questa la dimensione ideale in cui i Katatonia avrebbero saputo poi sviluppare una nuova e splendida identità. Oramai compattata intorno all’affiatato trio Renkse/Nystrom/Norrman (con l’aggiunta del basso di Mikael Oretoft, che presto abbandonerà la partita) la compagine svedese compirà con “Discouraged Ones” una delle più straordinarie metamorfosi che hanno avuto luogo nel mondo del metal. Una metamorfosi tanto più straordinaria perché naturale: sebbene, infatti, si passasse in un sol colpo da un agonizzante doom/black ad un orecchiabile gothic-rock, la migrazione suonerà spontanea, non comportando traumi né per la band, né (cosa strabiliante!) per l’ascoltatore.

Il corpus sonoro rimane sostanzialmente il medesimo, modellato dalla tragica interazione delle due chitarre, sempre a braccetto e sostenute dal funereo incedere della batteria. E’ semmai il format a cambiare: le lunghe e claustrofobiche composizioni del passato vengono a condensarsi in canzoni brevi, snelle, dotate del pratico schema strofa-ritornello e sporcate da quella componente noise-rock che era appartenuta anche al circuito indie o alla dark-wave più audace. In altre parole, la musica degli svedesi non suona più “heavy” di un pezzo infuocato dei Sonic Youth, o dei Cure se pescato da un album violento come “Pornography”. Aumentano gli spazi concessi agli arpeggi, ma soprattutto, come già anticipato, muta drasticamente l’approccio al canto: accantonata l’efferatezza vocale del passato, la voce che condurrà le dolenti ballate dei Katatonia sarà da adesso, e per sempre, quella pulita di Renkse, perfettamente a suo agio in questa nuova inaspettata veste. A metà strada fra Robert Smith, Jeff Buckley e Kurt Cobain, Renkse convince su tutta la linea, e sebbene avrà modo di crescere ulteriormente ed affinare la sua arte negli album successivi, le sue semplici ma efficaci linee vocali hanno il potere di conficcarsi come chiodi arrugginiti nel cuore sanguinante dell’ascoltatore.

Decidere se “Discouraged Ones” sia un album metal o no, è una questione difficile quanto oziosa: le chitarre sono ancora potenti e rimangono le protagoniste indiscusse di questo lavoro, eppure l’aria che si respira soffia indubbiamente dall’universo della dark-wave più dolente, del cantautorato più esasperato e persino dal grunge, sebbene come fenomeno artistico e culturale si fosse da tempo eclissato. La frustrazione, il disorientamento, la disillusione di una generazione che aveva perso la bussola all'inizio della decade, trovava nuova espressione nelle visioni decadenti dei Katatonia, che già da tempo avevano abbandonato quel mondo fantasy ed orrorifico che è tipico del metallo gotico, per orientarsi verso temi introspettivi ed esistenzialisti.

I testi minimali di Renkse ci raccontano di fallimenti, di solitudine, di sconforto, di gesti folli che irrompono nella noia più assoluta di una quotidianità nevrotica, mai scadendo, però, nell’enfasi romantica che spesso ambiti di questo tipo suggeriscono. Versi che si compongono di frasi e concetti semplici, parole di uso comune che divengono lo specchio delle immagini catturate nel booklet: scatti che ritraggono il profilo angosciante di scale in penombra, interni disadorni e facciate di abitazioni pervase da una quiete solo apparente (e per questo ancora più inquietanti). Parole ed immagini che sono specchio (e qui si chiude il cerchio) di quelle melodie altrettanto minimali, scarne, circolari, ma terribilmente incisive, che caratterizzano brani orecchiabili, scorrevoli e dai chorus facilmente memorizzabili: veri inni per perdenti. 

Episodi come “I Break”, “Deadhouse” “Relention”, “Saw You Drown” sono diamanti grezzi di un’emotività sincera e dirompente, su cui la band costruirà il suo futuro. “Discouraged Ones”, con le sue sbavature ed imperfezioni, è stato il passo necessario, coraggioso, drastico, affinché i Katatonia divenissero quello che sarebbero diventati successivamente. “Tonight’s Decision” (1999) e “Last Fair Deal Gone Down” (2001) non faranno altro che perfezionare la formula: con il primo Renkse abbandonerà completamente la batteria per dedicarsi efficacemente al canto (il suo posto dietro le pelli lo prenderà nientemeno che Swano in persona!); con il secondo, la formazione verrà ampliata a cinque elementi, affinché anche la sezione ritmica potesse finalmente essere valorizzata e divenire una freccia in più nella faretra dei Katatonia, fautori oramai di un sound sempre più complesso, dinamico e sfaccettato.

Ma la grandezza di questa band non sta solo nell’essere stata fra le prime a lasciarsi alle spalle con disinvoltura le efferatezze del metal estremo, ma anche nel sapersi evolvere costantemente verso nuovi lidi, spesso non preventivabili. Come, per esempio, la svolta “tooliana” compiuta con “Viva Emptiness” (2003) e poi confermata con il successivo, potente “The Great Cold Distance” (2006): opere in cui i Nostri rinfrescano, modernizzano e rinvigoriscono la loro arte con riff sempre più corposi, suoni taglienti e ritmiche potenti come non si erano mai sentite in un disco dei Katatonia.

Un indurimento del sound che non ha comportato un rinnegamento di quanto di buono sperimentato nel bellissimo “Discouraged Ones”, che continuiamo a vedere, non solo come una delle mutazioni più riuscite all’interno del metal, ma anche come uno degli album più emozionanti circoscrivibili nell’empireo di quel “depressive rock” di cui i Katatonia rimangono i più degni rappresentanti.