"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

29 apr 2015

MAYHEM: I MORTI AL POTERE!


I MIGLIORI DIECI ALBUM DEL BLACK METAL NORVEGESE
3° CLASSIFICATO: “DE MYSTERIIS DOM SATHANAS”

Colpo di scena! I grandi favoriti inciampano nel rush finale e si fermano al terzo posto della nostra classifica. Sì, proprio i leggendari Mayhem del leggendario Euronymous, comunemente considerato il padre spirituale dell’intera scena! Sì, proprio il capolavoro “De Mysteriis dom Sathanas”, spesso additato come il migliore e il più influente degli album black metal emersi dalle lande norvegesi, e non solo!

Il valore dell’opera è incontestabile, come del resto lo è la centralità all’interno della scena della figura di Euronymous, non solo come musicista, produttore ed aggregatore di esperienze, ma anche come artista ed artefice dello sviluppo del nuovo paradigma: sotto la sua influenza il black metal guadagnerà un’identità propria, recidendo definitivamente il cordone ombelicale che lo legava alle eminenze del proto black-metal (Bathory, Hellhammer e Celtic Frost in primis). “De Mysteriis dom Sathanas”, tuttavia, ha un problema che ne svilisce il valore storico, ossia l’anno di pubblicazione. Esso venne infatti rilasciato postumo nel 1994, quando il fenomeno black metal era già sostanzialmente esploso (i Darkthrone avevano pubblicato “A Blaze in the Northern Sky” nel 1992 e “Under a Funeral Moon” nel 1993). Dispiace che i maestri siano discograficamente arrivati a cose fatte, ma questo è.

Chi erano, del resto, i Mayhem nel 1992 per noi che non vivevamo ad Oslo e che non conoscevamo di persona Euronymous? Il “caso Mayhem” scoppiò infatti più tardi. Per i più attenti (mentre i colleghi Darkthrone davano alle stampe “A Blaze in the Northern Sky”), i Mayhem nel 1992 potevano essere al massimo quelli del dischetto rosso con le mani mozzate in copertina, fautori di un thrash metal cacofonico e violentissimo che poco aveva a che fare, stilisticamente, con il black metal che verrà. Beninteso: l’EP “Deathcrush” (anno 1987) è un capolavoro di attitudine che dovrebbe presenziare nella collezione di chiunque anche solo per l’anthemica title-track. Ma quello non era ancora ciò per cui il gruppo di Euronymous sarebbe passato alla Storia.

Il discorso cambia completamente se si va a riascoltare “Live in Leipzig”, registrato a Lipsia il 26 novembre 1990 (pubblicato però tre anni più tardi). A posteriori potremmo dire: sticazzi! Già nel 1990 i Mayhem suonavano black-metal in senso compiuto! Nei brani più evoluti (ossia quelli che in seguito verranno inclusi in “De Mysteriis dom Sathanas”) il “chitarrismo” di Euronymous non conservava praticamente più tracce di thrash o death metal. Traendo ispirazione (probabilmente) da certi riff più contorti e malati di Slayer e Morbid Angel, il chitarrista imperniò la sua ricerca intorno alle linee melodiche. Egli creava atmosfere sinistre sfregando il plettro a gran velocità sulle note più alte, coniando così un nuovo linguaggio fatto di riff selvaggi, ma al tempo stesso impetuosi, epici, struggenti, ripetuti con inedita ossessione. Più in generale, nel lavoro di chitarra si andava a privilegiare il dinamismo delle melodie rispetto alla potenza degli accordi, ad anteporre la fluidità del flusso sonoro rispetto agli stop & go.

Un operato che in “Live in Leipzig” veniva degnamente valorizzato dal drumming devastante di Hellhammer (perché la visione artistica di Euronymous poteva essere supportata solamente da un blast-beat persistente che tuttavia sapesse concedersi della variazioni senza perdere in velocità, quindi un blast-beat diverso da quello del death e del grind che non dovevano confrontarsi con la dimensione melodica). Come prelibato contorno, vi era infine la prova sconcertante di Dead dietro al microfono: la sua carica iconoclasta, l’attitudine auto-distruttiva, la sua scomposta violenza vocale (lontana dall’impostazione metodica dei professionisti del growl), il face-painting minimale (che si distingueva dal make-up barocco di King Diamond), i suoi testi maledetti (i temi erano quelli classici della Morte, dell’Occultismo e del Satanismo, ma la penna con cui venivano descritti era pervasa da una insolita poetica morbosa) lo rendevano probabilmente il primo effettivo cantante black metal della storia.

Insomma, il concetto di fondo è il seguente: in anticipo di anni rispetto agli altri, i Mayhem suonavano (inventavano) il black metal nel lontano 1990. E se “De Mysteriis dom Sathanas” fosse uscito l’anno successivo avremmo probabilmente fra le mani il primo album black metal della storia. Le cose però andarono diversamente: prima il suicidio di Dead nell’aprile del 1991, poi l’assassinio di Euronymous per mano di Varg Vikernes nell’agosto del 1993, fecero sì che l’album vedesse la luce nel 1994, quando oramai i Mayhem erano sulla bocca di tutti, e non solo per meriti artistici. Purtroppo tutte le innovazioni stilistiche concepite e sviluppate negli anni precedenti, in sala prove o dal vivo, trovavano stesura formale quando già erano state divulgate da chi paradossalmente era stato in precedenza influenzato da Euronymous e la sua band.

Ma al di là delle note vicende, a ritardare l’uscita dell’album fu anche il proverbiale perfezionismo di Euronymous (o l’eccessiva lentezza, a seconda dei punti di vista). “De Mysteriis dom Sathanas”, dunque, è l’espressione di un lavoro certosino in fase di scrittura e di arrangiamento, cosa insolita per un genere musicale che farà del nichilismo e del minimalismo i suoi principi cardine (per quello ci vorranno la superficialità e l’approssimazione di Fenriz e Nocturno Culto, o l’impeto individualista di un maniaco ossessivo compulsivo solitario come Varg Vikernes). Ma vi è anche un altro aspetto che rende l’album un’esperienza unica ed irripetibile: tolto il misconosciuto Blackthorne (alla seconda chitarra, non accreditato perché coinvolto nell’assassinio di Euronymous – “Spinanera” si beccherà otto anni, ma in pochi lo sanno), la compagine di musicisti che parteciperà alle lavorazioni di questo album è qualcosa di straordinario: un laboratorio di personalità che non poteva limitarsi e contenersi all’interno degli angusti recinti dell’ortodossia imposta dal genere nella sua forma più scarna ed estrema.

Del resto la Storia non la fa la gente comune. Euronymous, si è detto, era probabilmente il più creativo ed ispirato chitarrista della scena (ed uno dei più grandi geni del metal estremo in generale, alla pari di un Chuck Schuldiner o di un Trey Azagthoth). Hellhammer era il più potente, tecnico, preparato batterista di cui i Mayhem potessero all’epoca disporre (e sicuramente uno dei migliori picchiatori della storia del metal estremo): la sua furia esecutiva comunque ricca di accenti ed accortezze gettava i binari ideali per le sinistre visioni del mastermind della band.

Già basterebbe questo connubio per fare la Storia, ma, come se non bastasse, ecco che al basso (strumento notoriamente poco rilevante nel black metal) troviamo un insospettabile guest di lusso, ossia Varg Vikernes in persona (chiamato all’ultimo momento per sostituire Necrobutcher, che si era tolto dalle palle sentendo puzza di bruciato). Ecco che “De Mysteriis dom Sathanas” vede la presenza di uno dei più importanti esponenti del movimento, relegato però a dare una mano nelle retrovie: le linee di basso, laddove udibili, sono comunque d’innegabile pregio. Anche lui non viene comprensibilmente menzionato nella line-up ufficiale (mi ha sempre fatto sorridere la grandissima stronzata che il dimesso Hellhammer raccontò ai genitori di Euronymous, quando li rassicurò sostenendo di aver tolto dal master dell'album le parti suonate dall’assassino di loro figlio e di aver registrato lui stesso il basso. Ce lo vedete voi Hellhammer che ritorna in studio, riaccende i macchinari, si siede sulla sedia di paglia e si mette a registrare il basso, strumento che fra l’altro non saprà sicuramente suonare? Fatto sta che egli in seguito confessò di essersi limitato a rimuovere il nome di Vikernes nei crediti del booklet, lasciando tutto com’era: gli importava una sega a lui, del resto… possibile che quel giorno c’avesse palestra alle cinque…).

Giungiamo infine al degno sostituto del defunto Dead: poteva una persona normale prendere il posto di un front-man unico ed inimitabile com’era stato costui? Macché! Per l’occasione si andò a rovistare davvero nel torbido, ci si addentrò persino in Ungheria, oltre la cortina di ferro, nel cuore dell’allegro ex blocco sovietico, a pescare uno con un curriculum niente male, ossia Attila Csihar, l’ex leader dei Tormentor. Una prova magistrale, quella da lui offerta in “De Mysteriis dom Sathanas”, per questo gli perdoniamo il suo disastroso ingresso nella Storia della musica: un po’ come il giocatore di calcio che, nella finale della Coppa del Mondo, sbuccia la palla nel calcio d’inizio e capitombola a terra; o come l’attore di teatro che alla prima battuta apre la bocca, ma non proferisce parola, sbianca e poi vomita sul palco per la vergogna, allo stesso modo il rantolo nasale appena impercettibile di Attila nei primi tosti minuti dell’album è qualcosa di imbarazzante. Il prode ungherese avrà comunque modo di riscattarsi ampiamente in seguito, svelando il suo talento poco a poco, marchiando a fuoco con il suo carisma gli otto brani che compongono il platter.

Poteva dunque una formazione del genere produrre un qualcosa di ordinario? Certo che no! E’ per questo che nessuno riuscirà ad imitare le sonorità di quella incarnazione dei Mayhem. Nella sua perfezione, l’album difetta però di una componente fondamentale: conserva quel pragmatismo da vecchio metal che lo aggancia al passato. A partire dalla copertina e dal titolo che si riallacciano ad un immaginario gotico assai abusato dal metal e tutto sommato poco originale. La registrazione, inoltre, per quanto cupa e malevola, si impone potente, nitida, con la batteria ben in evidenza e il basso addirittura udibile. Da un punto di vista musicale, infine, il drumming di Hellhammer è impeccabile e fantasioso; idem la versatile chitarra di Euronymous, che, accanto ai proverbiali riff, contempla ancora rallentamenti e qualche assolo (eresia!). E poi c’è il latrato morboso di Attila, troppo teatrale e vario (in una circostanza egli si cimenta persino in gorgheggi baritonali!) per un genere minimalista come il black metal.


Il black metal norvegese, come insegnato da Darkthrone e Burzum, ha invece da esser fatto un po’ alla cazzo di cane, le emozioni devono prevalere sull’esecuzione, come succede nel punk più autentico e verace. Nella nostra corsa verso la purezza, “De Mysteriis dom Sathanas” raggiunge sicuramente una posizione ragguardevole, ma come opera in sé (in quanto spartiacque fra due ere) deve cedere il passo a lavori più evoluti, anche qualitativamente inferiori, che riteniamo maggiormente aderenti allo spirito più profondo (con tutti i limiti che questa ortodossia richiede) del black metal.