"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

22 apr 2015

IL BLACK METAL AGRICOLO DEI PESTE NOIRE: IL FANGO SULLE SCARPE CONTRO I PIDOCCHI SPIRITUALI


Una vecchia cascina con aie, pollai, rimesse per trattori e forconi appoggiati al muro: non vi sembra un teatro naturale per il black metal? Oddio i forconi magari sì, ma il resto...Eppure è in un posto del genere che pare si sia ritirato Varg Vikernes dopo il carcere. Ed è da un posto del genere che provengono i Kommando Peste Noire.

Che gli ambienti rurali siano adatti alle atmosfere estreme e orrorifiche non è novità. E l'horror padano di Pupi Avati lo ha dimostrato con zombie che risorgono nelle colonie romagnole, con incesti sanguinosi e inconfessabili tra le paludi. Ma se anche non ci fosse stato Pupi Avati sarebbe bastata la legione death-brutal emersa dalle paludi della Florida a cavallo degli anni '90. L'America rurale è la culla degli abomini più inconfessabili, decenni prima dei vari cannibali metropolitani, dalla famiglia antropofaga di "Non aprite quella porta" ai montanari deformi di "Wrong Turn".

Questo però è l'estremo già pronto e scodellato. Più difficile è plasmare da zero il black a partire da pollame, bestiame e becchime. Se con la storia delle gang di New York Martin Scorsese ha detto che l'America nasce nelle strade, per i KPN la Francia nasce nelle campagne. E con essa il black metal, sostengono i Nostri. Terra e territorio. Black agricolo e non bucolico: non di campi elisi, ma di forconi e luride osterie ricavate in luridi casali. “Topi di campagna contro topi di città”, contro la centralità delle metropoli e del multiculturalismo. Vecchi poveri contro nuovi poveri.

Quale miglior emblema dell'orrore contadino se non la carestia e la peste? O forse la carestia come calamità naturale e nobile, contro la peste che invece affligge i termitai umani delle metropoli, che con le epidemie alimentate dai loro liquami e dal loro affollamento si rivelano la fase terminale della degenerazione umana. I KPN fanno quindi un “Panegirico della Degenerazione” e rilanciano dal basso i valori della terra: “Salve, eccoci! I bulli di Francia, nutriti a vino e salami, fanatici campanilisti che masticano aglio rancido, con la barba incolta, denti neri, con la pancia, piccoli e col cranio pelato, teste di cazzo con sopracciglia folte...”. Quindi Hooligans che esprimono un disagio profondo contro il brutale sistema urbanizzante ed espropriante della Repubblica; che quindi rimpiangono una dimensione agreste e verace. O, visti da altra angolazioni, “braccia rubate all'agricoltura”. Stilisticamente ibridi tra black, folk e punk, anche nelle soluzioni i KPN spaziano da atmosfere “medievali” ad altre più bellicose, passando da altre ancora più “decomposte”.

Se dovessi spiegare i KPN con un riferimento letterario, mi verrebbe in mente la Francia dei romanzi di Zola: gli uomini sfigurati dalla modernità, dalla massificazione resi “bestie” più di quanto non lo siano già in natura, assiepati negli spacci di acquavite come macchine da lavoro che devono dimenticare la propria dimensione umana, persi in una sessualità sempre più incomunicabile. Ben diverse le sguaiate osterie di campagna del “Mattatoio” di Parigi (così il titolo di un romanzo, tratto dal nome del locale in cui si ubriacavano gli operai). Ben diversi gli “animali tra gli animali” delle fattorie delle “Bestie umane” (altro titolo irrinunciabile di Zola) partorite dalla rivoluzione industriale.

La poetica dei KPN è quindi, cosa non nuova, l'inno ad un nichilismo che annienti la peste, che ben si riassume in questi versi: “Bisogna affogare la peste nella peste, così che un acido espiatorio spurgando dal Paradiso infesti le nostre città che si pavoneggiano come sputacchiere”. E i brani dei KPN appunto brulicano di questi simboli di malattia che si diffonde, o di morte da consumare, come vermi, tenie, falene, flora batterica a virale chiamata a gran raccolta ne “La condi-hu”.

Il mondo finisce per essere una violenza alla natura, come se la crescita dell'uomo avesse in sé un germe di decadimento, di infezione di ciò che altrimenti avrebbe potuto essere.Un tempo hai deposto un uovo di microbo nella mia testa. Questo microbo è cresciuto e ha preso così tanto spazio che oggi si è fuso con il suo ospite. Se l'essere umano che ero è adesso niente di più che una carcassa, il microbo invece è cresciuto ed è divenuto un uomo, che mi rimpiazza, così solido, freddo ed efficiente come l'acciaio temprato. Ascolta attentamente: il proiettile che che ti prenderai in testa è lui, nostro figlio, perché se hai scordato il tempo lontano della tua ovi-deposizione in me, la mia infanzia è ancora lì che piange e grida vendetta. E verrà a cercarti per deporre in te il suo ovetto, e fregarti, quando verrà il suo turno.

Che di black metal si stia parlando è indubbio. Ed anzi sono loro stessi a dire che cosa è il black metal: “Sì, Black Metal! Forgiato in garage durante la notte, come una bomba fatta in casa, realizzato a metà tra sogni e rabbia / Sì, Black Metal, che emerge dalle viscere della terra, come un'enorme sonda anale per far saltare intere città / Sì, Black Metal! Tagliagole d'acciaio, letale sperone nazionale, che fa sputar sangue alle rose rosse / Sì, Black Metal! Improvvisamente mi hai dato le ali, come un immenso corvo boreale, per strapparmi lontano, verso più nobili fortezze”.

La terra (in ogni senso) è amica: forma e custodisce le radici, accoglie le carcasse dopo la morte ed è vicina, più vicina delle illusioni celesti. Più ci si eleva con i miti di progresso, più ci si sente sradicati: “La mia scoliosi, di oltre 35 gradi, mi fa vedere un enorme buco nel cielo che mi strangola” (da “La condi-hu”).

Nessuno stupore se il grido di guerra del black agricolo è un “Cocoricòòòòò”. E non di semplice goliardia si tratta, ma di peste antimoderna.

A cura del Dottore